mercoledì 25 luglio 2012

Villa Valguarnera di Niscemi


La storia 
Spesso, a Palermo, si sente parlare di Villa Niscemi. Ma quale storia sta dietro questo grande esempio di patrimonio culturale?
Rievocata da Fulco della Cerda, duca di Verdura, nella sua raccolta autobiografica di memorie dal titolo “Estati felici”, è noto che la villa risale a circa 4 secoli fa ed ebbe origine da una torre di guardia situata in vista della città.
Facciata principale
Qualche particolare ci suggerisce che essa derivi dalla trasformazione di un baglio agricolo, detto “Baglio Della Balata”, costruito nel ‘600 attorno ad una torre di difesa, con mura poste nell’angolo nord-occidentale, edificato lungo “la trazzera” che conduceva al Salto dello Schiavo di Monte Pellegrino.
Il fondo agricolo appartenne, fino alla metà del ‘600 a Carlo Santangelo che, nel 1664, lo lasciò in eredità alla figlia Maria; da quest’ultima passò a Martino Morso. All’inizio del XVIII sec. la tenuta fu acquistata dal duca delle Grotte, Tommaso Sanfilippo, il quale realizzò le prime costruzioni intorno al vecchio Baglio.
In seguito, la villa passò in dote alla nipote Marianna La Grua Sanfilippo dei principi di Carini, e al marito Vitale Valguarnera Branciaforte, principe di Niscemi, che tra il 1730 ed il 1750 trasformarono il baglio in residenza.
La Villa era al centro di un grosso feudo che, partendo da Villa Airoldi, si estendeva sino alle falde di Monte Pellegrino: esso fu in parte espropriato nel 1799 per costituire il parco Reale della Favorita.
Dopo il 1875, la villa divenne dimora stabile del principe Corrado Valguarnera Tomasi e della moglie, principessa Maria Favara Caminneci i quali hanno ispirato rispettivamente il personaggio di Tancredi e di Angelica del celebre romanzo “Il Gattopardo” di G.Tomasi di Lampedusa.
La villa fu abitata fino a qualche decennio or sono dai discendenti della famiglia i quali però, nel 1987 la vendettero al comune di Palermo che la fece diventare sede di rappresentanza del sindaco.
La descrizione degli esterni
Per quanto riguarda la descrizione esterna della Villa, possiamo subito notare una facciata di enorme compostezza architettonica, priva però, del caratteristico scalone presente in tutte le altre Ville del stesso periodo. Sia i balconi che le finestre sono decorate da bordi e cornici. Dalle estremità sorgono due avancorpi con funzione di terrazze a livello del piano nobile, forse aggiunte in epoca successiva.
Il lato più antico è l’ala sinistra, ciò quella rivolta verso l’ingresso, alla cui estremità si trova inglobata l’antica torre.
La vecchia torre inglobata nel corpo della villa
Questo lato presenta ancora balconi a petto d’oca che originariamente saranno stati eguali anche sulla facciata, come pure gli intonaci del tempo, color zafferano.
Intorno alla fine del 700, gli esterni subirono una grande trasformazione e la proprietà si ridusse a quei quattro ettari che ne costituiscono l’attuale consistenza. Nel tempo, venendo meno l’importanza agricola dei terreni, venne impiantato un grande parco che ancora oggi fa da cornice alla villa.

A destra dell’edificio è l’accesso al parco della Favorita (che fu concesso per privilegio da re Ferdinando) mentre sul fronte meridionale si stende la floretta, delimitata da un muro ellittico, con fontana parietale a rocaille e coffee-house; da qui parte il viale sinuoso del parco, con giardino esotico e  viali liberi che conserva molte specie subtropicali tra cui ficus, palme , yucche e dracene e dove è collocato un laghetto.
Infine, a settentrione del viale d’accesso, vi è un agrumeto con viali radiali.
L' interno
Al primo piano sono i saloni di rappresentanza e gli appartamenti. Vi si accede tramite una scala in marmo che conduce direttamente al primo salone, chiamato “Galleria dei Re di Sicilia” o delle armi. Esso è decorato da un grande camino, realizzato nel 1883 in pietra di Cinisi dallo scultore Vincenzo La Parola e alle pareti è appesa un’interessante raccolta di ritratti dei re di Sicilia che conferisce all’ambiente l’aspetto di un antico maniero;  oltre al tavolo centrale, la sala ospita alcune portantine del XVIII secolo.
Galleria dei Re di Sicilia
Da esso si accede alla biblioteca, con 4000 volumi e con arredi lignei ottocenteschi, che oggi è lo studio di rappresentanza del Sindaco di Palermo.
La Galleria dei Re di Sicilia conduce alle due ali della villa. Nell’ala destra vi sono il salotto degli arazzi e la sala da pranzo, decorati nel 1881 dal pittore Giuseppe Cavallaro.
Dalla sala da pranzo, si accede a una delle due terrazze, con pavimento maiolicato a chevron di color bianco e blu e balaustra a colonnine di tufo, con una piccola fontana settecentesca. Le due terrazze si trovano sopra i corpi bassi del vecchio baglio.
Nell’ala di sinistra troviamo il salotto di S. Rosalia, con al soffitto delle decorazioni a fresco a trompe-l’oeil che culminano nell’Apoteosi di S.Rosalia. Alle pareti sono collocate consolles del’700 e divani in legno intagliato e un tavolo con al centro un vaso giapponese. Si accede, quindi, al salone delle Quattro Stagioni con pavimenti maiolicati, pareti e soffitto decorati da altri affreschi a trompe-l’oeil. Sulla parete di fondo è l’affresco con Carlomagno che riceve lo stemma di casa Valguarnera da un nobile del casato; nel soffitto è il Trionfo dell’Immacolata attribuibile a Gaspare Fumagalli. Pregevole è il pavimento a rabeschi colorati su fondo bianco di maiolica siciliana. 
Affresco con Carlomagno
Da questa sala si entra nell’altra terrazza sul fronte.
Segue la sala da ballo o Sala Verde, dal colore delle originarie tappezzerie; la sala è affrescata con un grande dipinto raffigurante “La moltiplicazione dei pani”. Inoltre, sono presenti alcuni arredi settecenteschi come specchi, nature morte e un camino in marmo verde. Continuando, troviamo lo studiolo del principe, la camera da pranzo privata e le varie camere da letto, con arredi dell’Ottocento.
Il secondo piano comprende due appartamenti e la nursery ed ha due sale semplici. Dal 1987 accoglie gli uffici di Rappresentanza del Comune di Palermo.

martedì 24 luglio 2012

Chiesa e convento di S.Anna la Misericordia


La chiesa
La Chiesa di Sant’Anna sorge nell’omonima piazza, in quella antica contrada di Palermo denominata la Guzzetta e, successivamente, Piano della Misericordia.
Verso la fine del XVI secolo, i padri del Terzo Ordine  di S.Francesco  acquisirono l’adiacente Palazzo Bonet che decisero di ampliare, incorporandolo in un nuovo convento. Inoltre, trasformarono un’antica cappella già esistente in una chiesa dedicata a Santa Maria della Misericordia sul cui altare maggiore posero l’immagine della miracolosa Madonna della Pietà (1470). Quindi, grazie ad elemosine e contributi da parte di illustri palermitani dell’epoca ed alla generosità del Senato della città, decisero di realizzare un tempio più grande, realizzato secondo forme tardo rinascimentali.
Il progetto originale fu affidato all’architetto del Senato Mariano Smiriglio il quale incorporò nel transetto la chiesetta originaria. I lavori iniziarono nel 1606 e durarono più di trenta anni anche perché le fondamenta poggiavano su di un suolo fangoso e privo di roccia in quanto originariamente in quel sito c’era un’ansa del torrente Kemonia.

Con costi aggiuntivi si riempì il suolo di grossi massi per migliorare la stabilità dell’edificio anche se ciò non risolse del tutto i problemi.

La chiesa fu terminata nel 1632 e dedicata a Santa Maria della Misericordia anche se fu sempre chiamata Sant’Anna in onore della santa che il Senato palermitano, nel 1639, avrebbe proclamato copatrona della città

A causa della precarietà delle sue fondamenta, la chiesa subì, nel corso dei secoli, una serie di eventi che la danneggiarono e ne cambiarono profondamente l’aspetto. In particolare, a seguito del terremoto del 1726, l’austera facciata tardo rinascimentale subì notevoli danni per cui si decise di costruirne una nuova, su tre ordini, i cui lavori vennero affidati all’architetto trapanese, Giovanni Biagio Amico.
Quasi un secolo dopo, nel 1823, un ulteriore terremoto fece crollare il terzo ordine della facciata che assunse, così, l’aspetto attuale.
Le disgrazie però non finirono qui: il 1° marzo del 1943 la facciata della chiesa venne scalfita dalle schegge di una bomba caduta nella piazza e, infine, il 6 settembre 2002 un ennesimo sisma ha costretto la chiesa ad una lunga chiusura per restauro.
La facciata
Come già detto, la facciata originaria, più austera, fu sostituita da quella attuale che, fu  realizzata su tre ordini ma, a causa del terremoto del 1823, il terzo crollò. 
Malgrado ciò il suo aspetto è tra i più scenografici del barocco palermitano, grazie alle sue forme sinuose che ricordano le Cattedrali di S. Giorgio, a Ragusa e Modica, secondo i dettami del Barocco romano del Borromini. Quello che la caratterizza è l’effetto di chiaroscuro dato dall’alternarsi delle colonne e delle nicchie, con le statue che la adornano.
San.Gioacchino
Partendo dal basso, nel primo ordine, si riconoscono le statue di San Giuseppe, S.Elisabetta, S.Anna, San.Gioacchino; nel secondo ordine vi sono le statue di S.Antonio da Padova e di S. Ludovico. Tali opere  furono realizzate dagli artisti Giacomo Pennino, Gioacchino Vitagliano e Lorenzo Marabitti su disegno di Giacomo Serpotta. Di particolare riguardo è  l’altorilievo posto sul portale principale raffigurante "La pietà" di Lorenzo Marabitti.

La pietà
L’interno
E’ a tre navate, separate da colonne in marmo grigio con archi a tutto sesto, e si conclude con un ampio presbiterio rettangolare. Era stata prevista una cupola mai realizzata a causa dei già detti  problemi di staticità; al suo posto si trova adesso un soffitto ligneo decorato a trompe-l’oeil che simula la cupola,
Le navate laterali presentano cappelle coperte,  da  cupolette con lanternino.
Le pareti ed il soffitto furono ricoperti, all’inizio del ‘700, da una “decorazione a fresco” quasi del tutto scomparsa dopo il terremoto del 1823.
Resta quella del transetto, con l’Ascensione, di Vito d’Anna, a sinistra, e L’Assunzione della Vergine di Filippo Tancredi, a destra. I grandi pilastri che si trovano davanti al presbiterio sono interamente decorati in oro con medaglioni che imitano lo stucco. La volta del presbiterio è affrescata e, sul suo sfondo, si trova un organo del XVII secolo.
Sopra i due altari del transetto (dove era la chiesetta originaria) troviamo:
- a sinistra “Madonna della Pietà” (1470) affresco attribuito a Tommaso de Vigilia
Madonna della Pietà
- a destra “Immacolata Concezione” di Geronimo Gerardi (1612-1666) (pittore fiammingo)

Immacolata Concezione
A sinistra dell’Altare Maggiore troviamo la Cappella della “Pietà” con un Crocifisso ligneo su croce di tartaruga posto al centro di marmi policromi a forma di sipario sollevato da putti.

Nella navata di destra ricordiamo:
- la prima cappella, con la statua della Madonna di Sant’Anna con Maria bambina, portata in processione per le strade del quartiere
- la seconda, con decorazioni in marmo; sull’altare la “Vergine che appare a S.Diego” di Filippo Tancredi (1704)
- la terza, con, al centro la “Sacra Famiglia” con Sant’Anna e S.Gioacchino di Melchiorre Barresi (1596) e, ai lati, “S.Anna e la Vergine” e “L’annunciazione  di S.Anna” di Elia Interguglielmi (1767)
- la quarta, con la tela seicentesca di anonimo, raffigurante S.Rosalia che prega sulla città
- la quinta, ha una tela, attualmente in restauro, di E.Interguglielmi “S.Nicola in Gloria (1767).
Nella navata di sinistra troviamo:
- la prima cappella, con affreschi di Filippo Tancredi che raffigurano “La Madonna e S.Simone Stock”
- la seconda cappella, dedicata a S.Gioacchino, ricoperta di marmi, con un grande stemma sorretto da puttini, posto sopra l’altare
-la terza cappella accoglie la statua lignea di S.Giuseppe, eseguita da Baldassarre Pampillonia all’inizio del XVIII secolo
- la quarta cappella, dedicata a S.Francesco, decorata con affreschi settecenteschi raffiguranti “S.Elisabetta d’Ungheria” e “S.Luigi di Francia
- la quinta cappella con una statua di “S.Antonio da Padova” ed affreschi anonimi
Inoltre, nella seconda colonna a sinistra, un  pulpito ligneo scolpito da Giacomo Pianelli  (1740)
e, sulle pareti di fondo, sopra le porte laterali d’accesso alla chiesa, due tele del XVII secolo attribuite a Leonardo Bazzano: a destra “S.Francesco con Santa Elisabetta” e a sinistra il “Beato Guglielmo di Scicli” . 

Il convento
Adiacente alla chiesa, il Convento fu costruito, per i padri del Terzo Ordine Francescano, tra il 1606 e il 1648 attorno ad un grandioso portico rinascimentale. Si accede al convento tramite un portale esterno che immette nello scalone.
Portico
Nell’area del convento sorgeva, alla fine del XIII secolo il Palazzo di Saint-Rémy  abitato dal prefetto del re Carlo D’Angiò, Giovanni di Saint-Rémy. Quando i palermitani insorsero contro l’oppressione angioina nel 1282, il palazzo fu assalito dai rivoltosi e più di 2000 francesi furono massacrati. Il Saint-Rémy, fuggì e si  rifugiò nel Castello di Caccamo dove però i caccamesi lo catturarono e giustiziarono.


Nella stessa area, tra il 1488 e i primi del ‘500, fu costruito il palazzo di Gaspare Bonet, mercante di origine catalane, di cui resta la parte sud-orientale con la torre. L’edificio, nella seconda metà del ‘600, fu annesso al Convento ed adattato alle esigenze dei padri Francescani.
Nel 1872, con la soppressione degli ordini religiosi, chiesa e convento vennero requisiti e consegnati al Municipio di Palermo che li destinò a vari usi:: fu sede delle Guardie daziarie municipali e poi, dopo il 1878, del Liceo Ginnasio Umberto I.    
Solo nel 1930, il Convento fu restituito ai frati che ne occuparono una parte e ripresero a dire messa nella Chiesa che, per anni, era stata destinata a “granaio municipale”.
Le recenti opere di restauro condotte dalla Soprintendenza ai Beni Culturali, hanno consentito di poter destinare buona parte dei locali del convento alla Galleria d’Arte Moderna, restituendolo così pienamente alla fruizione della cittadinanza.

Splendori e miserie del Piano della Marina

Nel X secolo il Piano della Marina rappresentava il confine settentrionale dell’area in cui si era sviluppata la cittadella islamica della Kalsa.
Su questa sorta di promontorio, battuto dal mare, venne edificato, a partire dal 1307, palazzo Chiaramonte Steri, ancora oggi l’emblema di questo sito.


Tra il XIV e il XVI secolo la piazza vide sorgere diversi palazzi signorili. Essa rappresentava il collegamento con il mare, attraverso le antiche vie Bottai e Parlamento in un momento in cui la città ha un ruolo mercantile ed economico rilevante con il resto della penisola. Ad essa si accedeva anche dalla Porta della Dogana, sita nei pressi della chiesa di S.Maria della Catena.


Agli inizi del 600’ l’insediamento all’interno dello Steri del Sant’Uffizio, che diviene sede del Tribunale dell’Inquisizione, trasformò l’aspetto del Piano della Marina: al centro di esso ebbero luogo esecuzioni capitali, giostre, tornei e feste.

Con la fine dell’Inquisizione spagnola di fatto la Piazza venne abbandonata al suo lento degrado. Nuovi splendori l’attendevano soltanto nella seconda metà del XIX sec.

Dopo l’unità d’Italia cambia la toponomastica della piazza.
Prendiamo la via IV Aprile. Questa via si chiamava in origine via Palagonia dal nome del palazzo dei principi Gravina di Palagonia, ed ancor prima veniva denominato la strada della Gancia in quanto congiungeva il Piano della Marina con il convento e la chiesa della Gancia dei Francescani.
A seguito della rivolta antiborbonica del 4 aprile 1860, dopo l’uccisione dell’idraulico Francesco Riso capo dei rivoltosi e la successiva rocambolesca fuga dei due superstiti dalla cripta del convento della Gancia, e il successivo arrivo di Garibaldi a Palermo il 27 maggio 1860, la via cambia denominazione proprio in ricordo di tali avvenimenti.

Palermo postunitaria è una città alla ricerca di nuovi spazi da dedicare alle attività economico-mercantili emergenti.

Inoltre i bombardamenti borbonici e la miseria in cui versavano i ceti popolari avevano reso necessario interventi di ricostruzione e abbellimento di piazze e interi quartieri devastati. Piazza Marina, in particolare, era diventata, insieme con Piazza Pretoria, luogo di mendicanti e “Corte dei Miracoli”.
Le aspettative da parte dei palermitani nella nuova amministrazione sabauda andarono in buona parte deluse: il popolo, nelle sue aspirazioni di giustizia e libertà, si ritrovò ad essere ulteriormente vessato dall’introduzione di nuove tasse e soprattutto dall’odiata leva obbligatoria. La borghesia e l’aristocrazia attendevano da Vittorio Emanuele II uno statuto autonomo che mai fu concesso; al contrario lo stato divenne sempre più centralizzato.
Il municipio di Palermo avvia i lavori di restauro della città. Giovanni Battista Filippo Basile, in particolare, viene incaricato di rinnovare il Piano della Marina. Ciò si attua con il restauro di numerosi edifici e soprattutto con l’impianto di un giardino al centro, imitando in tal modo le “Square” europee. Il giardino sarà inaugurato nel 1864 e dedicato, insieme al successivo nuovo Teatro Politeama, all’eroe del Risorgimento Giuseppe Garibaldi.
Nella villa infatti furono collocate, in tempi diversi, statue di alcuni garibaldini famosi.
Così via Toledo diventa Corso Vittorio Emanuele II, il Foro Borbonico diventa il Foro Umbero I ed altre vie, meno vicine alla piazza, ricordano i più recenti avvenimenti storici come via Garibaldi, viale dei Picciotti, corso dei Mille.


Il Piano della Marina, proprio per la sua posizione urbanistica, diventa non solo mèta dei palermitani per la passeggiata nel magnifico Giardino Garibaldi e un sorbetto all’elegante caffè Oreto ( nei pressi della fontana del Garaffo), ma anche luogo legato alle attività economiche e mercantili della nuova ricca borghesia locale e straniera, quest’ultima, soprattutto, di origine inglese, presente in Sicilia già dall’inizio del secolo XIX.
Molti edifici si trasformano in hotel come l’hotel de France rimasto tristemente famoso perché nei suoi pressi venne ucciso il poliziotto italo-americano Joe Petrosino.
Le sorti della piazza tuttavia cambieranno ancora. La crisi della borghesia imprenditoriale siciliana (i Florio ecc), i bombardamenti del 1943, riporteranno Piazza Marina in uno stato di degrado ed abbandono. Soltanto a partire dagli anni ottanta per la piazza comincerà una nuova rinascita con la ristrutturazione degli edifici e la trasformazione economica legata soprattutto al turismo e alla ristorazione. 

Le Théâtre Politeama Garibaldi


C’est le premier des grands théâtres réalisés à Palerme dans la deuxième moitié du XIXe siècle, au cours du réaménagement urbain de la ville. Projeté par Giuseppe Damiani Almeyda en 1867, il fut achevé en 1891. Il dominait la place qui deviendra le cœur de la ville moderne. 
Déjà en 1860, sur l’initiative de Giulio Benso, duc de la Verdura, premier maire de Palerme, on prévoyait un nouveau centre urbain, de la rue Maqueda vers l’ouest, avec l’expansion le long de la Nuova Strada della Libertà,; et sur cet axe, la naissance de trois théâtres : le théâtre Massimo, l’Amphithéâtre Mangano, réalisé en 1889, et le théâtre Politeama.
Pendant les phases préparatoires de la réalisation du Théâtre Massimo, la Mairie chargea Giuseppe Damiani Almeyda, jeune ingénieur civil, de faire le plan, sur la place Roger Settimo, d’un « politeama » (théâtre destiné à des spectacles de genres différents), théâtre populaire de jour.
L’initiative fut proposée même pour réagir au climat de crise économico-sociale crée après les épidémies de choléra de 1866-67. Le théâtre devait abriter des exhibitions de gymnastes et acrobates des cirques forains, des opérettes, des pièces comiques et dramatiques, des fêtes et des bals et, en plus, des spectacles lyriques, en attendant la définition du théâtre Massimo. L’on commençait, ainsi, l’édification simultanée de deux théâtres : l’un – le théâtre Massimo – temple aristocratique de la lyrique ; l’autre – le théâtre Politeama – au caractère populaire, qui exaltait la fonction sociale du théâtre.
En 1874 le théâtre, encore en plein air, fut inauguré avec Les Capulet et les Montaigu de Vincenzo Bellini . En 1874 la Fonderie Oretea réalisa la couverture métallique, une œuvre d’une grande hardiesse pour cette époque-là. En 1882 il fut dédié à Giuseppe Garibaldi, après sa mort. Mais l’ouverture officielle eut lieu en 1891, pour l’inauguration de l’Exposition Nationale: un gala exceptionnel, à la présence du roi Humbert et de la reine Marguerite.
Pendant l’Exposition Nationale de 1891-92, il joua un rôle important avec des manifestations et des spectacles. A cette occasion l’on construit aussi une série de pavillons «éphémères» à l’intérieur du soi-disant Firriato di Villafranca (orangeraie des Radaly), qui s’étendait entre la rue Libertà et les rues Dante, XX Settembre, Garzilli, Villafranca et la place Croci actuelle, et qui constituera, tout de suite après, le lieu du nouveau quartier résidentiel de la ville.
Dans le Théâtre Politeama, Damiani Almeyda reprend le style de l’amphithéâtre romain à arcades, en rotonde, avec une cavea en plein air. Bâti dans de brefs délais avec des matériaux pauvres à cause des conditions économiques difficiles, le théâtre Politeama fut le fruit d’une attention particulière vers l’hellénisme et l’architecture polychrome grecque et romaine, analysée et étudiée en Sicile, à Sélinonte et Agrigente.

Le théâtre a un plan circulaire, marqué à l’extérieur d’un double porche avec des colonnes d’ordre ionique et corinthien, avec des figures surmontées par une frise reproduisant les jeux du cirque sur un fond rouge.

L’entrée monumentale a la forme d’un arc de triomphe, entouré de deux  candélabres en bronze ; sur le sommet, le Quadrige d’Apollon en bronze de Mario Rutelli, entouré de deux paires de chevaux et chevaliers de Benedetto Civiletti.

Précédée d’un vaste foyer, avec la Danseuse voilée d’Amleto Cataldi, la salle est en forme de «fer à cheval», avec deux ordres de loges et deux caveas en gradins, aujourd’hui praticable par 950 personnes. C’est là qui se détache un revêtement chromatique vif et décoratif d’inspiration pompéienne, fermé dans la frise de couronnement de la voûte avec des fresques de Gustavo Mancinelli, représentant Les Eleuthéries.

Le plafond a la forme d’un rideau, d’un azur délicat. La galerie supérieure est rythmée par des colonnes en fonte surmontées par une série de lunettes peintes ; tandis qu’une vaste galerie munie de colonnes  - avec au milieu le buste en bronze de Garibaldi – délimite le mur sur l’ouverture de scène.

Siège de l’Orchestra Sinfonica Siciliana de la ville, le Théâtre Politeama Garibaldi abrite aujourd’hui une saison de concerts appréciée.

Source : /www.comune.palermo.it/



Il teatro Politeama Garibaldi


E’ il primo dei grandi teatri realizzati a Palermo nella seconda metà del XIX secolo, durante il riassetto della città. Progettato da Giuseppe Damiani Almeyda nel 1867, fu concluso nel 1891. Dominava la piazza che diventerà il cuore della città moderna.
Già nel 1860, su iniziativa di Giulio Benso, duca Della Verdura, primo sindaco di Palermo, si prevedeva un nuovo centro urbano, dalla via Maqueda verso ovest, con l’espansione lungo la Nuova Strada della Libertà; e, su questo asse, la nascita di tre teatri: il teatro Massimo, l’anfiteatro Mangano, realizzato nel 1889, e il teatro Politeama.
Durante le fasi preparatorie della realizzazione del Teatro Massimo, il sindaco incaricò Giuseppe Damiani Almeyda, giovane ingegnere civile, di fare il progetto, sulla Piazza Ruggero Settimo, di un ‘politeama’ (teatro destinato a spettacoli di genere diverso), teatro popolare diurno.

L’iniziativa fu proposta anche per reagire al clima di crisi economico-civile creatasi dopo le epidemie di colera del 1866-67. Il teatro doveva accogliere delle esibizioni di ginnasti e acrobati dei circhi, delle operette, delle opere comiche e drammatiche, feste e balli e, in più, spettacoli lirici, in attesa della definizione del teatro Massimo. Cominciava così la costruzione simultanea di due teatri: l’uno – il teatro Massimo – tempio aristocratico della lirica; l’altro – il teatro Politeama – dal carattere popolare, che esaltava la funzione sociale del teatro.

Nel 1874 il teatro, ancora all’aperto, fu inaugurato con ‘I Capuleti e i Montecchi’ di Vincenzo Bellini. Nel 1874 la Fonderia Oretea realizzò la copertura metallica, opera molto ardita per l’epoca. Nel 1882 fu dedicato a Giuseppe Garibaldi, dopo la sua morte. L’apertura ufficiale tuttavia, ebbe luogo nel 1891, per l’inaugurazione dell’Esposizione Nazionale: un gala eccezionale alla presenza del re Umberto I e della regina Margherita.

Durante l’Esposizione Nazionale del 1891-92, ebbe un ruolo importante con manifestazioni e spettacoli. 
Con l’occasione furono anche costruiti una serie di padiglioni effimeri, all’interno del cosiddetto ‘Firriato di Villafranca’ (agrumeto dei Radaly) che si estendeva tra la via Libertà e le vie Dante, XX Settembre, Garzilli, Villafranca e la piazza Croci attuale, e che costituirà, subito dopo, il luogo del nuovo quartiere residenziale della città.

Nel teatro politeama, Damiani Almeyda riprende lo stile dell’anfiteatro romano a arcate, a pianta circolare, con una cavea all’aperto. Costruito in tempi brevi con materiali poveri a causa delle condizioni economiche difficili, il teatro Politeama fu il frutto di un’attenzione particolare verso l’ellenismo e l’architettura policroma greca e romana, analizzata e studiata anche in Sicilia, a Selinunte ed Agrigento.

Il teatro ha una pianta circolare, segnato all’esterno da un doppio portico con colonne di ordine dorico e ionico, con figure sovrastate da un fregio che riproduce giochi di circo su uno sfondo rosso.
L’entrata monumentale ha la forma di un arco di trionfo, circondato da due candelabri in bronzo; sulla sommità, la Quadriga di Apollo in bronzo di Mario Rutelli, con ai lati due paia di cavalli e cavalieri di Benedetto Civiletti.

Preceduta da un vasto foyer, con la ‘Danzatrice Velata’ di Amleto Castaldi, la sala è a forma di ferro di cavallo, con due ordini di palchi e due cavee a gradini, oggi praticabile da 950 spettatori. Qui spicca un rivestimento cromatico, vivo e decorativo di ispirazione pompeiana, chiuso dal fregio di coronamento della volta con affreschi gi Gustavo Mancinelli, che rappresentano le ‘Eleuterie’.

Il soffitto ha la forma di un sipario, di un azzurro delicato. La galleria superiore è ritmata con colonne di ghisa sovrastate da una serie di lunette dipinte; mentre una vasta galleria munita di colonne – con al centro il busto in bronzo di Garibaldi – delimita il muro sull’apertura della scena.
Sede dell’Orchestra Sinfonica Siciliana della città, il Teatro Politeama Garibaldi ospita oggi una stagione di concerti apprezzata.

Fonte : /www.comune.palermo.it/







venerdì 13 maggio 2011

Mi sono ritrovato

Nell'altro mio blog "Pensiero Libero" ho parlato già della storia di S.Giovanni Nepomuceno e del perché mi interesso a questo santo. 
Ho scoperto oggi, navigando in rete, che un statua del santo era stata eretta davanti l'entrata della fortezza del Castello a Mare nel 1722. La statua fu realizzata da uno scultore, Tommaso Maria Napoli, prete domenicano, a spese del comandante del castello, il generale austriaco Ottocaro di Starhenberg, e posta su di un piedistallo in cui si leggeva la seguente iscrizione "Divo Joanni Nepomuceno tutelari suo Ottocarius Comes de Sarhamberg erexit anno 1722". 
Il 25 giugno 1860 la fortezza venne demolita per ordine di Garibaldi. Nell'immagine di sopra vedete un'incisione d'epoca con, in primo piano, proprio la statua di S.Giovanni Nepomuceno che si trovava lì da bel 138 anni.
Che fine fece la statua? Essa è stata collocata nella seconda cappella a destra della chiesa di S.Maria degli angeli detta  della Gancia  come si vede nella foto a destra.
Continuando nelle mie ricerche in rete mi sono imbattuto in un'altra fotografia di una statua del santo che si trova a Altavilla Milicia.
Una didascalia della foto, scritta da un certo sertaopa, l'8 dicembre 2008 così recita: "Questa statua originariamente (1722) fu collocata nel piano del castello a mare di Palermo." 
Dando per scontato che l'affermazione sull'origine della statua sia errata, mi chiedo come mai un'altra statua di Giovanni Nepomuceno si trovi proprio ad Altavilla Milicia! L'origine austriaca del comandante del Castellammare giustifica la devozione ad un santo di origine mitteleuropea (morì a Praga il 16 maggio 1393), ma quale altra devozione ne giustifica la presenza in quest'altro luogo?
E' necessario un surplus di ricerche.

venerdì 4 marzo 2011

Passeggiata attraverso la Palermo aragonese

1.Il Mandamento Tribunali
Esso è così chiamato dalla presenza di Palazzo Steri, fatto costruire dalla famiglia Chiaramonte e subito dopo, trasformato in tribunale. È delimitato dagli assi di via Maqueda e di corso Vittorio Emanuele dall’antico percorso murario della via Lincoln e dal Foro Italico, l´antica Strada Colonna.
Comprende un´area che, dall’antico quartiere della Kalsa si andò popolando in età medievale, congiungendosi alla città alta (la Galca), attraverso una serie di nuove strade.
A partire dal XV secolo, il quartiere tribunali ha subito una serie di interventi di modifica dei percorsi e degli spazi urbani che hanno avuto il loro culmine con il taglio della via Maqueda prima e poi con quello più devastante di via Roma (1888-1922). Il mandamento ha inoltre subito danni devastanti nelle zone più vicine al mare a causa dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, tuttavia l´antica organizzazione del tessuto urbano è ancora in parte leggibile.
In seguito alla demolizione in età normanna delle mura della Kalsa, la città medievale si andò costituendo colmando gli spazi verdi che separavano la città fortificata dalla città murata.
Il palazzo Chiaramonte rappresentava un importante riferimento per la comunità urbana. Furono aperte strade di collegamento per unificare la parte alta della città alla parte bassa: la più importante strada di collegamento fu la Discesa dei Giudici aperta nel 1508, che con il Piano del Pretore formava l´incrocio con la via Lattarini, così chiamata perché era il quartiere  dei droghieri ( in arabo "lattarin" significa spezie).
Questa zona, con quella della Fieravecchia (l´odierna Piazza della Rivoluzione) si saldò nel tempo con la piazza della Meschita (il quartiere ebraico) e con l´asse di via del Bosco, poi separati dal taglio della via Maqueda.
Questa via attraverso opere di allineamento continuava con la via Alloro.
Un´altra strada di collegamento era l´asse della strada di San Francesco che dalla chiesa di San Francesco fino a Porta di Termini collegava il Cassaro all’area della Magione e dello Spasimo.
Infine le vie Merlo e Lungarini permettevano il collegamento tra il Piano di San Francesco e il Piano della Marina.
Questo sistema di strade valorizzava slarghi e piazze, soprattutto lungo il percorso che va da Piazza Pretoria e dall’antico Piano del Pretore a piazza Sant´Anna.
Il piano della Marina fu integrato nel tessuto urbanistico solo nel 1518 quando fu realizzato l´ultimo prolungamento del Cassaro.
Il piano della Marina, il Piano del Pretore e la Strada Colonna costituivano in età spagnola il percorso privilegiato degli eventi di massa.
Nel 1700 la parte del mandamento più vicina al mare fu sistemata, quando lungo l´asse formato da via Butera e via Torremuzza iniziarono a sorgere i grandi palazzi aristocratici le cui terrazze si affacciavano sulla Strada Colonna.
2. Architettura, pittura e scultura  a Palermo tra Medioevo Rinascimento e Barocco
L’incontro tra l’arte normanna cristiana e la civiltà islamica rappresenta, a Palermo, uno dei momenti artistici più felici. Il soffitto ligneo e decorato, tipico delle costruzioni arabe, fu usato, per esempio, negli edifici normanni sia civili che religiosi (vedi la Cappella Palatina  e il duomo di Monreale); la decorazione a mosaico arabo-bizantina viene utilizzata pienamente nei grandi palazzi e nelle chiese.
Lungo tutto l’Alto Medioevo, fino al Duecento, la nuova arte gotica e romanica, in Sicilia e a Palermo, si manifesta  dunque, attraverso la mediazione di tre culture :  araba, normanna e bizantina che privilegiavano soprattutto l’aspetto decorativo (capitelli, sculture e mosaici) piuttosto che quello architettonico. Infatti, gli edifici presentano tutti la stessa semplicità geometrica e squadrata del cubo o del parallelepipedo ma comunque sono ricchi di decorazioni all’interno.
Il rinnovamento architettonico del gotico europeo stenta a penetrare qui da noi, a causa del carattere feudale e aristocratico della società siciliana, lontana ancora dalla civiltà comunale.
Si affermerà soltanto a partire dalla fine del Trecento  con il dominio prima dei Chiaramente, famiglia di origine francese, e poi con quello degli Aragonesi, alla fine della lunga guerra del  Vespro. Gli Aragonesi, spagnoli, imporranno la loro cultura legata strettamente a quella catalana molto elegante e raffinata.
L’età chiramontana impone il Palazzo nobiliare cittadino ancora però legato al modello del Castello Fortezza ma reso prezioso dalle finestre gotiche - bifore, trifore o monofore - inserite dentro archi acuti o ogivali, ornate da tarsie (blocchi in pietra) in pietra lavica alternata alla pietra di tufo e da colonnine di marmo con capitelli scolpiti. Ogni palazzo presenta, inoltre, grandi portali contornati da più file di archi e pilastri a parete con basi e capitelli scolpiti in pietra semplice. Nel mandamento Tribunali, troviamo diversi esempi del cosiddetto gotico-chiramontano. Il Palazzo Steri-Chiaramonte è l’edificio più importante che esprime questo stile. Ma possiamo ammirare ancora parti di antichi palazzi e chiese che sono stati messi in luce da recenti restauri lungo via Alloro e  le altre stradine che mantengono il tracciato medievale.
L’arrivo a Palermo di mercanti, banchieri e maestranze pisani, amalfitani, genovesi, catalani, soprattutto durante il dominio aragonese e attraverso il commercio europeo, porterà qui da noi il gotico internazionale, ormai arte rinascimentale in Italia ed Europa e qui invece rappresenterà il nuovo stile che gli storici hanno chiamato gotico-catalano o gotico fiorito.
Le caratteristiche principali possono riassumersi in :
·     edifici molto eleganti per la decorazione in marmo di portali, finestre e addirittura intere pareti;
  • facciate abbellite anche con statue, colonne e capitelli scolpiti;
  • portali e tetti con archi ribassati che gia preannunciano l’arco a tutto sesto del Rinascimento;
  • la pietra  scolpita e lavorata  come i merletti delle Fiandre, che fa da cornice a finestre e portali;
Tra i maggiori architetti che operano a Palermo in questo periodo è Matteo Carnalivari, autore, in questo mandamento, del Palazzo Ajutamicristo in via Garibaldi, e della Chiesa della Catena  di fronte il piano della marina.
Il passaggio al Rinascimento vero e proprio cioè l’arte del 1500, avverrà attraverso la scultura,  con l’arrivo in Sicilia della famiglia  Gagini e di Francesco Laurana. Le loro sculture in marmo finissimo rappresentano soprattutto Madonne eleganti nel portamento lontane da qualunque riferimento a donne in carne ed ossa come saranno quelle del  Caravaggio  o dei Serpotta  in epoca barocca, ma soltanto simboli di profonda spiritualità, armonia e ricerca della perfezione. Troviamo diverse opere di Gagini e Laurana in molte chiese di tutta la Sicilia, in particolare in questo quartiere, nella  Chiesa di San Francesco d’Assisi nella via Paternostro o di San Francesco e nella chiesa della Gancia.
L’Architettura  cinquecentesca si caratterizza  in breve per :
  • le facciate degli edifici intonacate, abbellite con  marmi intorno ai portali che ricordano il tempio del mondo classico con colonne e frontoni triangolari da dove spariscono decorazioni e pietre traforate come merletto;
  • la presenza di ampie finestre rettangolari, pilastri a parete che dividono la superficie delle facciate in maniera proporzionata e regolare in  più ordini longitudinali e verticali;
  • gli interni delle chiese sono molto ampi  con cappelle laterali ricche di quadri e statue;
  • il soffitto a cassettoni in legno dipinto,  come quello della Gancia e, dalla seconda metà del ‘500 in poi, “a botte” con grandi affreschi; ogni chiesa  deve avere una grande cupola sul modello di quelle fiorentine, loggiati all’esterno con archi a tutto sesto, necessari anche per lo svolgersi di mercati e utili luoghi di incontro per la vita mondana.
Il Rinascimento a Palermo vede un completo rifacimento della città a partire dalla ristrutturazione del Piano del Pretore ( piazza Bellini ) da cui parte la nostra passeggiata, del Palazzo del Municipio con l’apertura della Piazza Pretoria e la sistemazione della grande fontana, costruita a Firenze da Camilliani, in perfetto stile rinascimentale e dunque tutta in marmo bianco.
Molti palazzi e chiese subiranno a partire dalla fine del ‘500, trasformazioni  secondo la nuova arte che ormai domina in Europa, il Barocco. Il Mandamento Tribunali si riempirà di edifici barocchi, ma  più degli altri mandamenti, conserva tracce ancora visibili del Medioevo e del Rinascimento, riportate alla luce dai restauri o ancora ben visibili, nei  suoi palazzi,nelle sue chiese e nelle sue piazze.
3. Palermo medievale e aragonese
Dal 1250, anno della morte di Federico II, fino all’arrivo del viceré aragonese nel 1415, Palermo ebbe un travagliato periodo storico. Dopo i famosi “ Vespri” del 1282 e la cacciata degli Angioini, titolari del regno dal 1266, la Sicilia godette di un breve periodo di autonomia con Federico III, re aragonese dal 1296 al 1337, dando molto spazio e potere ai baroni siciliani, rafforzando il Senato palermitano. Infatti, nel 1330 venne costruito il Palazzo del Municipio, in ritardo rispetto alle altre città italiane che erano già  state Comuni e che ora erano diventate o stavano per diventare Signorie. Nel 1392 l’infante Martino di casa Aragona, che reclamava la corona, giunse in Sicilia ripristinando la dominazione autoritaria aragonese. Nel corso del XIII secolo, il patrimonio edilizio della città era costituito da piccole chiese e da alcuni complessi ecclesiastici degli Ordini predicatori che introdussero l’arte gotica  europea, allontanando piano piano lo stile arabo normanno. All’interno della cinta muraria esistevano ancora vaste aree coltivate e libere. A partire del terzo trentennio del XIV secolo grazie alla relativa stabilità politica dovuta alla signoria della famiglia Chiaramente, sorgono edifici civili e residenze urbane e furono restaurate le antiche mura musulmane. Palermo risultava costituita da cinque grandi quartieri, tra cui i maggiori erano il Cassaro, al centro della città, la Kalsa, vicino al mare ed infine il rione di Porta Patitelli, tra piazza Bellini e l’attuale via Roma.Il rinnovamento architettonico del gotico europeo stenta, però,  a penetrare qui da noi, a causa del carattere feudale e aristocratico della società siciliana, lontana ancora dalla civiltà comunale italiana ed europea. La ricerca di autonomia anche formale, portò all’elaborazione di una nuova tendenza culturale che viene spesso definita “ Chiaramontana” a causa del dominio politico ed economico dei Chiramonte, i quali fanno costruire palazzi e castelli in tutta la Sicilia. Le architetture di quel periodo furono rielaborazioni semplici delle gloriose architetture normanne, adattate ad una società integralmente legata alla cultura  del mondo latino e cristiano. Nel mandamento Tribunali, troviamo diversi esempi del cosiddetto gotico-chiramontano. Il Palazzo Steri-Chiaramonte, a piazza Marina, è l’edificio più importante che esprime questo stile. Ma possiamo ammirare ancora parti di antichi palazzi e chiese che sono stati messe in luce da recenti restauri, lungo via Alloro e le altre stradine che mantengono, ancora oggi,  il tracciato medievale. Molti palazzi e chiese subirono a partire dalla fine del ‘500, trasformazioni secondo la nuova arte che ormai domina in Europa, il Barocco. Il Mandamento Tribunali si riempirà di edifici barocchi, ma più degli altri mandamenti, conserva tracce ancora visibili del Medioevo e del Rinascimento.
La città Aragonese. Durante i secoli XV e XVI Palermo fu legata al regno Aragonese che impose una revisione amministrativa ed economica del territorio.La città amministrata da un Pretore a capo del Senato, permetteva la costruzione di strade ed edifici, in base a nuove norme, contenute nella “Prammatiche”, primo esempio di leggi urbanistiche che introducevano criteri razionali di distribuzione delle strade(dovevano essere rettilinee e incrociarsi con altre ad angolo retto) per l’organizzazione e la nascita di nuovi quartieri. Nel nostro mandamento Tribunali vediamo la Via Porta di Termini (odierna via Garibaldi), la via Vetriera e la trasformazione di alcune piazze, sedi di mercati (zona dei Lattarini) che vennero rettificate ed allargate. Il Rinascimento in qualche modo, comincia a penetrare anche qui da noi. Un nuovo rapporto con la strada interessava sia le residenza aristocratiche, sia gli edifici religiosi e civili, dove vennero costruite logge d’ingresso che costituirono uno spazio d’uso semipubblico. Tra le costruzioni sono da annoverare le numerose chiese fatte costruire dalle colonie provenienti dall’Italia o dalla Spagna, le così dette Nazioni, e dalle Confraternite, concentrate soprattutto nelle zone mercantili a ridosso del porto della Cala. Il grande fenomeno costruttivo del ‘400, ha prodotto numerosi edifici monumentali, che rispecchiano lo stile aristocratico della nuova compagine sociale.
4. Dalla Discesa dei Giudici alla Via Alloro
Iniziamo il nostro itinerario:
Sul piano Bellini si trova il Palazzo Pretorio (1330); sul fronte orientale di esso si apre il portale in marmo architravato che serviva da entrata principale fino a quando venne sistemata la piazza Pretoria qui accanto, e viene quindi aperta la nuova entrata.
Dal piano Bellini parte la Discesa dei Giudici, così chiamata perchè vi abitavano alcuni giudici della Corte Pretoriana. All’angolo di essa con la via Ruggiero Mastrangelo, al numero civico 7, si trova il settecentesco palazzo Amari Bellaroto; al numero civico 31 troviamo il palazzo Airoldi anche esso del ‘700.
Superata la via Roma, dopo un breve tratto, si apre la zona dei Lattarini, devastata dal taglio prima della via Maqueda (1600) e poi da quello della via Roma (1908 – 1922), principale mercato musulmano ed ebraico.  I Lattarini è ancora oggi un rione molto popoloso e abitato da mercanti, di esso rimane soltanto una parte in quanto molte botteghe e case furono abbattute per consentire l’apertura delle vie su indicate.
Particolare facciata chiesa di S.Anna 
Nel 1606 sorge, sul piano di S. Anna, il primo grande slargo della Discesa dei Giudici, la chiesa di S. Anna alla Misericordia. Essa venne innalzata nel tardo rinascimento, a partire dal primo decennio del XVII secolo, su una precedente piccola chiesa medievale  dedicata a S. Maria della Pietà. Nel 1736 la facciata venne rinnovata dall’architetto barocco Giovanni Biagio Amico che progettò una facciata sontuosa secondo le regole del barocco romano (colonne e superficie curvilinee che danno l’idea del movimento e del chiaro scuro). Nelle nicchie laterali si trovano le statue dei santi Giuseppe, Gioacchino, Anna ed Elisabetta eseguiti sul modello di Giacomo Serpotta. Le statue di S. Antonio e S. Ludovico si trovano sopra il primo ordine della facciata.
Accanto la chiesa si trova il convento. L’edificio era stato acquistato dalle monache francescane tra il1606 e il 1648. Questo edificio era l’ex palazzo di Giovanni di Saint-Rémy, prefetto di Carlo d’Angiò, catturato e ucciso dai palermitani nella rivolta del 1282. Tra il 1490 ed i primi del ‘500 il mercante Gaspare Bonet fa ricostruire sulle rovine del vecchio edificio, un nuovo palazzo come sua abitazione. Di esso, oggi, resta solamente il corpo sud-orientale con le strutture della torre. Oggi esso ospita la Galleria d’Arte Moderna.
Il lato occidentale della piazza è chiuso dal palazzo Campofiorito Statella costruito nel XVI secolo e rimodernizzato nel secolo scorso.
Per la via di  S. Anna si passa alla piazza Croce dei Vespri. Qui troviamo il palazzo Ganci, costruito nella prima metà del XVIII secolo e terminato nel 1780 circa. Il suo prospetto principale è ritmato dai balconi tipici del barocco (a petto d’oca). Uno dei portali d’ingresso era sulla via di Santa Cecilia. L’entrata principale è, invece, su questa Piazza.
Sempre sulla piazza Croce dei Vespri(vedi scheda) prospetta anche il palazzo Lucchesi Palli Campofranco, antica residenza patrizia rimaneggiata in stile neogotico alla fine del XIX secolo
Si prosegue per piazza Aragona, spazio oblungo che incrocia via Paternostro, l’antica via di San Francesco. Essa, infatti conduce alla Chiesa e Convento di San Francesco d’Assisi.
Prima di proseguire per via Alloro, continuazione naturale della Discesa dei Giudici, facciamo una piccola deviazione verso piazza della Fieravecchia e l’odierna via Garibaldi, soffermandoci davanti la Fontana del Genio di Palermo, Palazzo Scavuzzo e Palazzo Ajutamicristo ( schede specifiche ).
Tornando sui nostri passi, ritroviamo Piazza Aragona  e la strada dell’Alloro, che conduce al Foro Italico. La strada deve il nome all’albero di Alloro presente nel giardino del palazzo di S.Gabriele. La via Alloro è la strada che collega il piano del Pretore alla Kalsa. A partire dal XIII secolo, su questa arteria si costruiscono i principali interventi edilizi ed urbanistici nei successivi due secoli. Infatti, il tratto di strada che parte dal Piano del Pretore fu oggetto, nel 1508, di un intervento urbanistico rivoluzionario per quei tempi: una “croce di strade”. Essa fu, poi, cancellata dall’apertura di via Roma nel 1922. Nel medioevo, sulla via Alloro, sorsero residenze e edifici religiosi che determinarono il successivo allineamento della strada. Tutta la zona fu, nel XVIII secolo, un continuo sorgere di palazzi signorili o riadattamenti di precedenti fabbriche, che diedero alla via Alloro un aspetto più nobile e sontuoso.
All’angolo con via Paternostro, al numero civico 104, si trova il palazzo Naselli D’Aragona. Esso apparteneva a Federico Abatelli che lo edificò nei primi anni del XVI secolo. Nel 1766 fu acquistato dalla famiglia Naselli d’Aragona. Nei primi decenni del secolo successivo fu acquistato dal commerciante Briuccia che trasformò buona parte dell’edificio in un albergo: l’Hotel Patria, uno degli alberghi più rinomati della città fino al 1943, oggi in assoluta decadenza.
Successivamente troviamo, la chiesa della Madonna dell’Itria, costruita nell’ultimo decennio del XVI secolo dalla Confraternita dei Cocchieri (vedi scheda). La chiesa ha un prospetto classico e un campanile settecentesco. La sua caratteristica è la solenne processione che si svolge il venerdì Santo, in cui vengono portate per le vie del quartiere le urne della Vergine Addolorata e del Cristo.
Proseguendo, sul lato sinistro, al numero civico 107, si trova il palazzo Bellacera S. Gabriele, ostruito nel XVII secolo. Nel giardino del palazzo si trovava il secolare albero di lauro che dava il nome alla strada e che fu abbattuto nel 1704 perché era diventato secco. Del palazzo rimangono le mensole barocche dei balconi ed il portale a bugne.
Sullo stesso fronte c’è il palazzo Cefalà di origini tardo gotiche. Apparteneva, nei secoli XVI e XVII, alla famiglia Opezzinga.
Al numero civico 81 c’è il palazzo Rostagno, edificato nel XV – XVI secolo dalla famiglia Rombao. Della struttura rimangono solo i muri perimetrali che conservano interessanti resti della costruzione originaria.
Sul fronte del vicolo Caccamo, al numero civico 58, c’è il palazzo Castel di Mirto Bonagia. Esso fu costruito intorno al 1760. Di essa resta il famoso scalone del cortile: un’ elegante serliana introduceva la prima rampa di scale e lasciava scorgere d’infilata le analoghe aperture sul fronte opposto, gradini di marmo rosso, balaustra, stucchi e ghirlande incentivavano l’insieme. Il palazzo aveva ricchi ambienti interni. Segue il restaurato Palazzo Sambuca.
Al numero civico 50 c’è la chiesa e il convento della Gancia dei Francescani. Fu fondato nei primi decenni del ‘400 e lo intitolarono a S. Maria di Gesù. La grande chiesa, ancora in costruzione nel 1548, fu allineata col fianco settentrionale lungo la via Alloro. Di stile gotico catalano sono il portale di ingresso al convento, posto sul lato destro della chiesa, ed i due portali della chiesa. Nel portale laterale, sulla via Alloro, è posta una Madonna a bassorilievo inserita in una cornice quadrata. Nel cortile della Gancia il prospetto di ingresso è nudo tipico dello stile dell’alto medioevo, con conci squadrati, in cui spiccano due formelle rettangolari con i simboli della Madonna e di Gesù.
 5. Piazza Croce dei Vespri
Cosi chiamata perché in questo luogo, secondo un’antica tradizione, i palermitani nel tragico lunedì di Pasqua del 30 Marzo 1282 uccisero una parte dei 2000 angioini che si trovavano asserragliati nel palazzo, oggi Palazzo Bonnet,  attuale sede della Galleria d’Arte Moderna,  in cui viveva il Gran Giustiziere del regno angioino,  Giovanni di Saint-Rémy, anch’egli ucciso dai rivoltosi.
Nello stesso giorno, presso il Convento e la Chiesa di Santo Spirito, attualmente dentro il Cimitero di Sant’Orsola, era scoppiata la rivolta, chiamata in seguito Guerra del Vespro (1282-1302). A ricordo di questo episodio, nel 1737, fu innalzata una colonna di marmo, al centro della piazza, proprio nel luogo dove si riteneva che fossero stati seppelliti i soldati francesi, durante la rivolta del Vespro.
Alcune ricerche, condotte dal Salinas, sono giunte alla conclusione che l’ordine di erigere quella colonna è però di molti anni precedente e, precisamente, rimonta al 1714, durante il regno di Vittorio Amedeo di Savoia. Probabilmente il sovrano intendeva con ciò avere un senso di riguardo verso la moglie che, per l’appunto,era francese. Da quel momento la piazza fu chiamata  Piazza Croce dei Vespri e non più  secondo piano di Sant’Anna.
Lo stesso Salinas riferisce che, nel corso di alcuni scavi condotti in quel posto,si ritrovarono un gran numero di ossa umane.
La colonna eretta nel 1737 era sormontata da un capitello rovesciato del XIII  secolo, sorreggente una croce di ferro. E al centro di questa piazza, il piccolo monumento rimase sino al maggio del 1782, anno in cui venne spostato in quanto impediva alle carrozze di recarsi al vicino Teatro di Santa Cecilia ed al Palazzo Valguarnera che si affaccia proprio in questa piazza.
Palazzo Bonet
Il principe di Gangi e di Valguarnera, in occasione del rifacimento della pavimentazione della piazza, lo fece collocare, dopo e a sue spese, all’angolo  del palazzo Bonnet, dove ancora oggi una lapide ricorda che lì fu la dimora di Giovanni di Saint Rémy, ucciso dai palermitani in rivolta contro gli Angioini.
Dopo un secolo, e precisamente nel 1873, per il centenario del Vespro siciliano,il Municipio di Palermo, pensò bene di ricollocare il monumento nel centro della piazza; ma  poiché era ormai invecchiato e mal ridotto, si diede incarico all’architetto del Comune, Marco Antonio Fichera, di disegnarne uno nuovo che pressappoco somigliasse a quello antico.
Ed il monumento venne rapidamente costruito, formato da un basamento, una colonna, un capitello, non più rovesciato simile a quello antico e sormontato da una croce, non più in ferro come era quella originale,  ma in marmo.
Un’artistica recinzione, ottenuta da una serie di spade incrociate, delimitava il complesso che era posto su tre gradini. Attualmente non vi è più la recinzione.
Il Salinas riuscì a recuperare gli elementi del monumento originario, ad eccezione del basamento, e provvide a far rimontare la colonna, al museo Nazionale,dove rimase sino al dopoguerra
La colonna, in seguito, assieme ad altro materiale medioevale, è stata trasferita alla Soprintendenza alle Gallerie. Da allora non ne  abbiamo più notizie.
Ricerche recenti  ci dicono che, in realtà, sotto la Colonna  non c’è alcun ossario.
6.La Fieravecchia e i Geni di Palermo
Dal 1860 si chiama Piazza Rivoluzione, ma per i palermitani è ancora la "Fieravecchia", un antico mercato, a pochi passi dall’importantissima strada che si apriva entrando da Porta di Termini. Qui, davanti al cinquecentesco Palazzo Scavuzzo, poi dei Trigona di Sant´Elia, scoppiarono tutte le sommosse che portarono infine all’Unità d´Italia. Nella piazza c´è una fontana, al centro della quale troneggia dal 1697, il "Genio di Palermo", curiosa personificazione della maestà cittadina. Racconta un´antica leggenda che un ricco signore, sorpreso in mare da una tempesta, fu gettato dalle onde su una spiaggia sotto Monte Pellegrino: posto disabitato, ma ricco di alberi da frutta e tanta buona acqua. Innamorato di quel luogo, chiamò ingegneri e architetti, per costruirvi una città che chiamò Palermo, come il suo nome. Quando fu vecchio si fece fare una statua che è proprio quella della Fieravecchia.
Il Genio di Palermo è rappresentato con un cane ai piedi che simboleggia la fedeltà, con un serpente in braccio che indica la prudenza e uno scudo su cui vi è una scritta il latino che sta a significare "Nutre le cose altrui, divora se stesso", ovvero che Palermo è sempre stata soggetto di dominazioni e quelli che ne hanno subito le conseguenze sono i palermitani. Questa statua aveva la funzione di "Pitazzo" ovvero un luogo dove il popolo poteva sfogarsi, attaccando alle braccia della statua dei biglietti anonimi nei quali affidavano il loro dissenso e la loro indignazione. Nel 1852 Carlo Filangeri principe di Satriano e luogotenente borbonico in Sicilia, per evitare rivolte, fece rimuovere la fontana e la statua. Poi arrivò Garibaldi e così, il 7 giugno 1860 i palermitani rimisero ogni cosa al suo posto. Un altro Genio si trova al Garraffello, davanti alla chiesa di Santa Eulalia dei Catalani, al quale hanno rubato le due statue laterali; un altro si trova all’interno del Palazzo Comunale; a Villa Giulia vi è quello dei Marabitti, vestito da antico romano con un aquila. Il meno conosciuto è quello che si trova all’interno del Cantiere Navale, un monumento in tufo che serviva ad abbellire l´antico molo.

7.Il Venerdì Santo dei cocchieri
 Per una famiglia patrizia palermitana “tenere carrozza” significava avere cocchieri, cavalcanti, staffieri, mozzi di stalla ecc.I Maiuri erano i cocchieri responsabili della cavalleria e dai quali dipendevano tutti gli uomini di scuderie e rimesse. Nel 1570, a Palermo, giunse la prima carrozza e, dopo 20 anni, quei cocchieri fondarono una confraternita, alla quale in seguito furono ammessi i sottoposti dei Maiuri. Con 12 onze di Sicilia e con il contributo di alcuni nobili, i cocchieri fondarono la chiesetta della Madonna dell’Itria  ai Cocchieri, in via Alloro dove sono presenti molti palazzi della grande nobiltà palermitana. Maiuri e sottoposti potevano, così,  assistere alla messa tra le 4.00 e 6.00 del mattino senza disturbare i loro signori. I più abili Maiuri furono contesi fra le più importanti casate dell’isola. Il Venerdì Santo era l´unica concessione per i Maiuri di uscire liberamente "Extra moenia domini" e organizzare la processione, a meno che la casa non fosse a lutto.  Nel 1610 un bando cittadino ordinava che, dalla Morte alla Resurrezione del Signore Gesù Cristo, la terra non doveva essere calpestata e quindi i piedi si strisciavano; da qui l´abitudine dello "strusciamento" famoso anche nel napoletano. Durante le processioni, sfilavano imparruccati i cocchieri anziani e, con tracolla e spadino, i cocchieri giovani,  distinguendosi per i colori dei loro abiti, corrispondenti a quelli del Casato di appartenenza. Era  obbligatorio sostare davanti ai "Palazzi" dei padroni;  e le nobildonne palermitane, in quella occasione, dovevano esibire dei semplici rosari, abiti neri e dare un contributo in denaro per la processione. Anche se il tempo è passato  questa tradizione non ha subito radicali cambiamenti.
8. Porta Patitelli o Baich o porta di mare,dall’arabo BAB EL BAHAR
Porta Patitelli o di  Baich o porta di mare, dall’arabo Bab el bahar,chiamata così dal Fazello,storico del 500, il quale sostiene in realtà che questa porta è quella che sorge nei pressi del monastero di santa Caterina; da allora in poi chiamata Patitelli o Pantanelli, perché in quella zona, prosciugato il mare, si formarono i pantani.
Lo storico Giardina sostiene, invece, che il nome deriva dalle botteghe che si trovavano  in quella zona. Infatti, alcuni documenti notarili ci dicono che vi erano botteghe di fabbricanti di zoccoli e pianelle o riparatori di talloni di scarpe. A conferma di questo, in questa zona c’è ancora oggi una strada chiamata via dei Formai, situata dietro l’attuale chiesa di San Matteo che si affaccia sul corso Vittorio Emanuele, l’antico Cassaro.
9. Palazzo Scavuzzo e Palazzo Ajutamicristo
Palazzo Scavuzzo
Palazzo Scavuzzo, costruito probabilmente nei primi anni del XVI sec. fu rimodernato dal notaio Giacomo Scavuzzo che lo acquistò alla fine del XVI sec.
La facciata conserva ancora molti elementi originari, come per es. il portale d’ingresso che è stato costruito secondo lo stile tardo gotico o gotico catalano (grande arco di pietra soprastante il portale e capitelli scolpiti), le finestre del primo piano sono tipiche del rinascimento perché hanno forma classica del tempio o dell’edicola votiva ( colonnine laterali e frontone triangolare in alto).
Il palazzo ha subito molte trasformazioni nei secoli successivi.
Sulla facciata è presente una targa del 1862 che contiene il confronto dei pesi e delle misure siciliani con quelli del sistema metrico decimale, in uso in tutta Italia dopo l’Unità.
Palazzo Ajutamicristo, costruito tra il 1490-93 per volontà della famiglia Ajutamicristo di origine pisana (mercanti stranieri erano presenti a Palermo tra la fine del trecento e il ‘400, epoca aragonese alla fine della guerra tra i baroni). Il progetto architettonico è del più famoso architetto di quel tempo a Palermo, Matteo Carnalivari. La grande facciata  presenta ancora, in maniera evidente, lo stile catalano raffinato e le influenze tosco-lombarde del rinascimento, che stava cominciando a penetrare anche qui in Sicilia grazie ai mercanti e agli scambi commerciali.
Portale, archi e finestre ci  riportano al mondo gotico catalano del ‘400,  possiamo dire al mondo medioevale, ma la decorazione delle finestre con i marmi ci portano, invece, al rinascimento del nord dell’Italia; tuttavia, guardando l’insieme del palazzo, pensiamo anche al castello-fortezza tipico dell’arte normanna e sveva siciliana.
Il palazzo ha subito diverse trasformazioni: la più importante  quella in età barocca, ad opera della famiglia Moncada,  principi di Paternò:  basti osservare l’altro portale e i balconi in ferro battuto a petto d’oca che hanno sostituito le finestre strette a monofore. Ora, infatti, le esigenze della società erano cambiate, bisognava mostrare tutta la propria ricchezza e potenza : il barocco era l’arte adatta a questo scopo perché si serviva di grandi spazi e tanta decorazione; era più importante apparire e mostrarsi, mentre era meno importante l’interiorità, la spiritualità, la semplicità dell’anima che, nell’alto medioevo, avevano dato vita a chiese e palazzi molto semplici di pietra nuda e molto chiusi.
Nel 1535 fu ospite l’imperatore Carlo V che, affacciandosi, assistette alla giostra organizzata dai palermitani in suo onore. Attualmente il palazzo è molto trasformato e decaduto; è stato diviso in più parti ed ha ospitato fino ad alcuni anni fa anche una scuola: un  liceo artistico. Una parte del Palazzo è stata comperata dalla Regione Siciliana e pare che dovrà diventare museo.

BIBLIOGRAFIA
 G. Basile - Palermo è…..  Dario Flaccovio
G. Bellafiore – Palermo. Guida della città e dei dintorni
A. Chirco – Palermo. La città ritrovata – Dario Flaccovio
De Seta e altri – Palermo città d’arte
R.La Duca – La città perduta - Vol.2- Ediz. Scientifiche Italiane